Quasi al giro di boa, il Tour de France 2024 ha già emesso un paio di verdetti. Il primo: con un parterre così, fino all’ultimo ci sarà da divertirsi. Il secondo: se qualcuno pensava che la tavola fosse apparecchiata per una comoda doppietta Giro-Tour da parte di Tadej Pogacar, beh, forse in qualche modo farebbe bene a ricredersi. Perché Tadej è dove voleva essere, ma anche gli avversari non sono rimasti a guardare. A partire da Jonas Vingegaard, che ha dimostrato una volta di più di essere un fuoriclasse assoluto tenendo botta dopo tre mesi di stop. Ma pure Remco Evenepoel sin qui s’è giocato bene le proprie carte. Anche se poi i veri nodi al pettine arriveranno già nel fine settimana, quando i Pirenei detteranno la linea e rimescoleranno le carte.

Pogacar è dove voleva essere. Ma la strada è lunga Vingo è il vero MVP? Forse sì, ma lo scopriremo più avanti Remco e Primoz, orizzonti opposti (ma speranze intatte) Gli altri: Cavendish e Girmay da urlo, sorpresa Abrahamsen Italiani, dobbiamo accendere la luce…

Pogacar è dove voleva essere. Ma la strada è lunga

Sminuire la portata di quanto fatto da Pogacar sarebbe sbagliato. Lo sloveno s’è presentato al Tour da favorito, e sin qui ha mantenuto fede alle attese. Ha attaccato sul San Luca, portandosi dietro Vingegaard, poi ha attaccato in cima al Galibier, scavando un piccolo solco tra se e il resto degli umani. E a cronometro, dove i progressi rispetto al passato sono parsi evidenti già al Giro, ha fatto debitamente il suo.

A questo punto è lui a dare le carte in tavola: se saprà superare indenne i due tapponi pirenaici, sottrargli la maglia gialla nelle ultime 6 tappe potrebbe rivelarsi complicato. Qualcuno lo ha persino rimproverato per aver speso troppo nella tappa degli sterrati, dove ha cercato di staccare Vingegaard ed Evenepoel, animando la corsa ma senza riuscire nell’intento.

La verità è che Tadej è un corridore che bada solo a correre e a divertirsi: sa di essere più forte e sa quali trappole lo attendono. Anche se si è capito benissimo che col danese (che lo ha accusato di non essersi fatto vivo dopo la terribile caduta all’Itzulia) non corre buon sangue.

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Vingo è il vero MVP? Forse sì, ma lo scopriremo più avanti

Vingo era l’uomo delle incognite, ma sin qui certi dubbi li ha fugati. Il suo Tour è cominciato bene: è vero, ha perso una trentina di secondi nella tappa del Galibier e un’altra trentina scarsa a cronometro, ma sin qui ha dimostrato di essere parte della partita. E considerando che Evenepoel in salita offre minori garanzie, è giusto pensare che il vero anti Pogacar sia ancora il danese. Che chiaramente dovrà cercare di crescere e di giocarsi le carte migliori nelle tappe dove si comincerà a salire (e lui l’altitudine non la teme).

Van Aert e Jorgenson potranno dargli una mano, anche se la corazzata UAE (Ayuso, Almeida e Adam Yates) in salita potrà scortare a meraviglia Tadej. C’è chi dice che il vero MVP di queste prime 9 tappe sia stato proprio Vingegaard, pensando alle settimane che hanno preceduto il Tour: ci può stare, ma solo se saprà confermare la crescita nella seconda settimana.

Remco e Primoz, orizzonti opposti (ma speranze intatte)

Anche Evenepoel ha i suoi motivi per sorridere. A cronometro è andato fortissimo, sebbene Pogacar abbia limitato (eccome) i danni. Poi in salita c’è sempre stato, seppur senza mai dare la sensazione di essere totalmente solido. Ora per lui viene il difficile: se saprà superare indenne il prossimo fine settimana, allora potrebbe ancora essere della partita, pensando ai 31 km di crono a Nizza nell’ultima frazione. Essendo debuttante al Tour, per lui ogni giorno è una scoperta.

E Roglic? Primoz nutriva ambizioni importanti, ma sin qui dei Fab 4 annunciati è quello che è rimasto più indietro. Non ha convinto in salita, non ha convinto nemmeno a cronometro, dove forse si aspettava di fare qualcosina in più. Ripensando al Giro 2023, lo sloveno potrebbe augurarsi di andare in crescendo e quindi di provare a ribaltare la corsa quando arriveranno le montagne. Parlare di delusione è forse troppo (anche per lui la primavera, dopo la caduta all’Itzulia, non è stata delle più semplici), ma servirà alzare l’asticella.

Gli altri: Cavendish e Girmay da urlo, sorpresa Abrahamsen

Cos’altro ha detto la prima settimana abbondante di Tour? Intanto che Mark Cavendish ha fatto bene a concedersi un’altra annata ad alto livello: la vittoria numero 35 gli varrà la gloria eterna, anche se subito il britannico (che vive in Toscana) s’è preoccupato di chiedere a Pogacar di non portargli via il record (comunque è dietro di 23 tappe: 35 a 12…).

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L’azzardo di Cav ha pagato tanto quanto la voglia di Biniam Girmay di regalarsi un pezzo di storia: due vittorie di tappa (su 4 volate), la maglia verde saldamente sulle spalle e una superiorità anche tattica eccelsa. Chiaro che Jasper Philipsen non può che essere il grande sconfitto: tre secondi posti e tanti rimpianti per l’olandese, incredibilmente ancora a secco di vittorie.

Qualcuno si sarebbe atteso di meglio da van der Poel e Van Aert: vero che si sono fatti vedere poco, ma loro al Tour sono andati per preparare olimpiade e mondiale e il ruolo da gregari lo stanno onorando al massimo delle loro possibilità. Menzione speciale per Romain Bardet, finalmente vestito di giallo (per un giorno) nel Tour che segnerà la fine della sua avventura nel mondo del pedale, e per Jonas Abrahamsen, sin qui il vero tuttofare della corsa (sempre in fuga e in maglia a pois).

Italiani, dobbiamo accendere la luce…

Vorremmo infine saltare l’ultimo capitolo, ma ci tocca affrontarlo. Perché di Italia al Tour sin qui se n’è vista davvero poca. Ciccone sta preparando la gamba per dare l’assalto alla maglia a pois, Bettiol ha perso un paio di occasioni per provare a inserirsi nei discorsi vittoria di tappa. Gli altri (Formolo, Ballerini, Moscon, Mozzato e Sobrero) per ora hanno lavorato per i capitani e basta, come lo sfortunato Gazzoli che s’è dovuto ritirare dopo un centinaio di chilometri appena di corsa. Non vinciamo una tappa da 94 frazioni: quota 100 è dannatamente vicina…